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Lo stemma araldico della città della Spezia 1409 - 2013. Una storia da raccontare
D'azzurro  alla torre quadrata, aperta e  finestrata del campo, al naturale, a due  palchi merlati alla  ghibellina, rispettivamente di nove e di sette  pezzi, con l'inferiore  munito ad ogni angolo di garitta; la torre  fondata su un monte di tre  cime di verde, e sostenente un'aquila,  coronata d'oro, al volo spiegato,  e colla testa rivoltata, di nero,  cucita.  Art. 3, comma 2 dello Statuto Comunale
Lo  stemma della Città della Spezia presenta alcuni elementi che,  pur  modificandosi nel corso dei secoli, compaiono sempre perché  distintivi  della storia e del senso di identità della comunità.   Il  monte, la torre e l’aquila sono i tre componenti fondamentali dello   scudo, e la corona e le fronde sono gli ornamenti esteriori.    Lo Statuto comunale specifica bene tali componenti, compresi nello   scudo: sono la “torre quadrata, aperta e finestrata” “a due palchi   merlati alla ghibellina, […] fondata su un monte di tre cime […]   sostenente un'aquila, coronata d'oro, al volo spiegato, e colla testa   rivoltata”. Al di fuori dello scudo sono poi figurate due fronde legate,   incrociate in basso, e al di sopra, nella parte superiore, è posta   un’elaborata corona merlata.  Il monte di tre cime, suggerito   dalla geografia collinare del territorio, è il sostegno su cui posa la   torre e rappresenta il territorio sul quale viene esercitato il diritto   di autorità.   La torre deriva forse dall’insegna della   Podesteria di Carpena, dalla quale la città dipendeva e poi si affranca   nel XIV secolo, ed è comunque il segno delle fortificazioni a  protezione  del territorio.L’aquila è simbolo di potere e sovranità, di autorità e supremazia, noto e utilizzato con tale significato fin dall’antichità.   Oltre lo scudo, all’esterno, sono poi gli ornamenti esteriori.    La corona, dorata e con cinque torri, sta a significare che La Spezia è   insignita del titolo di Città: un diritto acquisito nel tempo per   meriti e importanza, riconosciuto con apposito decreto e concesso dal   Presidente della Repubblica.  Le fronde intrecciate di alloro e   di quercia, caratteristiche dell'araldica civica italiana e presenti   anche nello stemma della Repubblica, raffigurano le virtù della comunità   cui lo stemma è riferito.   L’alloro è considerato da sempre   pianta nobilissima, attributo di sovrani, poeti, trionfatori dei  giochi  olimpici, e la quercia è simbolo di potenza e vigore ma anche di  solido  temperamento morale.  Le fronde sono  legate in basso con un nastro con i colori nazionali.
Documentazione storica
Lo  stemma riproduce l'emblema araldico della Città:  "D'azzurro alla torre  quadrata, aperta e finestrata del campo, al  naturale, a due palchi  merlati alla ghibellina, rispettivamente di nove e  di sette pezzi, con  l'inferiore munito ad ogni angolo di garitta; la  torre fondata su un  monte di tre cime di verde, e sostenente un'aquila,  coronata d'oro, al  volo spiegato, e colla testa rivoltata, di nero,  cucita". Art.3, comma 2 dello Statuto Comunale
 
L’ARALDICA
L’araldica  è la disciplina che studia gli stemmi, la loro storia e la  loro  composizione, decifrandone gli elementi che vi sono figurati con  il  fine di comprenderne il significato attraverso la corretta lettura  dei  suoi componenti. 
 Lo stemma, difatti, è principalmente formato   dallo scudo dove sono mostrate una o più figure,  alle quale si   aggiungono, nel caso, alcuni ornamenti esteriori, vale a dire posti al   di fuori dello spazio dello stesso scudo, detto specificamente campo. La   corona che spesso è collocata al di sopra dello scudo, un motto che lo   accompagna, animali figurati ai lati in posizione rampante o ancora   elementi vegetali o floreali sono tutti ornamenti esteriori, a titolo di   esempio, che perfezionano e completano il messaggio dello stemma,   secondo un vocabolario dei segni esatto e di facile comprensione. Lo   stemma infatti, la cui origine è con tutta probabilità militare e il cui   nome deriva da un parola greca, poi passata nella lingua latina, che   significa letteralmente corona, in principio aveva una funzione   identificativa, serviva cioè a riconoscere, senza alcun equivoco, di   quale clan sociale, di quale gruppo familiare o di quale specifica   comunità l’individuo che lo recava e mostrava facesse parte. Era, e   ancora è, una evidente dichiarazione di appartenenza e di identità   sociale, figurata prima ancora che detta o scritta.
 
Proprio  in  ragione del significato e della portata di questo messaggio a  partire  dal XII secolo vengono stabilite alcune regole alle quali   necessariamente devono sottostare tanto le figure che i colori, che sono   i due elementi costitutivi di ogni stemma. In questo modo si codifica e   disciplina l’uso dei segni e delle specifiche rappresentazioni che   assumono pertanto valore simbolico, alludendo a fatti storici o a   determinate imprese che vengono pertanto raffigurate, per brevità,   attraverso simboli semplici e di immediata comprensione. Lo stemma è   quindi un racconto dove le parole sono sostituite da figure, il cui   utilizzo e la cui disposizione rispondono a un codice ben preciso che   non deve lasciare spazio a interpretazioni. E in questo modo ogni gruppo   sociale, sia che si tratti di singole famiglie che di intere città, è   in grado di condensare, per così dire, e di mostrare la propria vicenda   in uno spazio ridotto, affidando il significato di quel pensiero   figurativo a poche ma esplicite immagini che possano essere interpretate   e comprese facilmente e senza equivoco, secondo regole prestabilite.
LA VICENDA STORICA
Proprio  allo scadere del 1530, il 30 dicembre, Antonio da Carpena  detto il  Carpenino, giovane e promettente pittore che in città aveva  bottega e  già riceveva committenze, viene pagato dagli ufficiali della  Comunità  per aver dipinto uno stendardo, di pubblica utilità. E così  ancora a  lui, tre anni dopo, nel 1533, si rivolgono nuovamente i  rappresentanti  del Comune per avere insegne e stemmi dipinti, quando  concitatamente si  apprestano gli apparati per onorare la venuta in città  del papa  Clemente VII reduce da Marsiglia dove aveva accompagnato  Caterina de’  Medici, sua nipote, che andava sposa a Enrico, delfino di  Francia e  futuro sovrano di quel regno.
 Ma quale era lo stemma della  città  che il Comune, con insistenza, aveva chiesto a Carpenino? In che  segni,  in quali simboli la comunità che qui viveva e abitava si  riconosceva  e, con evidente fierezza, sceglieva di rappresentarsi,  comunicando così  per segni la propria identità?
 
La più antica  illustrazione  superstite dello stemma civico è quella figurata sulla  copertina del  libro del Consiglio Comunale della Spezia del 1409: è un  disegno a  penna, quasi sintetico, dove l’ignoto e un po' affrettato  autore  rappresenta una semplice torre coronata da tre merli e con  un’unica,  profonda apertura, posta sulla sommità di un piccolo colle. Lo  stemma  della città è compreso all’interno di uno scudo più grande,  posto  proprio nella parte inferiore di questo, nella punta, e sormontato  da  altri tre scudi, di cui i due laterali sono l’arma di Genova,  figurata  dalla croce rossa in campo argento, e quello centrale l’emblema  del  Monferrato, a memoria del brevissimo governo genovese del Marchese  di  Monferrato, appunto, conclusosi nel 1413. Nell’arma spezzina la  torre,  che già era nello stemma di Carpena, frazione collinare oggi nel  comune  di Riccò del Golfo dalla quale la Spezia dipendeva fino alla metà  del  XIV secolo e con la quale stringe poi una duratura quanto tenace   alleanza, è accompagnata dalle lettere S. e P., scritte in evidenza,   rispettivamente alla sinistra e alla destra della torre, forse con   eccessiva semplicità interpretate come le iniziali del nome della città,   privato dell’articolo. 
 Ma, in realtà, sembra più probabile che il   riferimento sia al Popolo spezzino, in latino lo Spediensis Populus o,   addirittura, la permanenza di un vago sentore, quasi un’eco di  romanità,  a dire il Senato e il Popolo, proprio alla maniera antica.
 
Di   alcuni decenni successivo, datato al 1489, era invece un capitello,  oggi  perduto ma un tempo conservato nelle Collezioni Civiche, dove era   giunto dopo alterne vicende: qui, su una delle quattro facce, era   scolpito a rilievo uno scudo a forma di mandorla dove era rappresentato   lo stemma della Spezia, contrapposto a quello di Genova, scudo nel  quale  compariva nuovamente la torre merlata, questa volta a due piani,   sormontata dall'aquila con le ali spiegate e, ancora, le lettere S e P   ai lati della massiccia fortificazione. In origine questo capitello era   sorretto da una colonna posta in prossimità dell’antico palazzo   comunale, grosso modo dove oggi si apre piazza Beverini, in direzione di   via Prione, in una posizione elevata, in quanto proprio in quell'anno,   il 1489, erano stati deliberati e quindi portati a termine i lavori di   rifacimento della piazza che era stata rialzata rispetto al piano  delle  vie che lì convergevano: la colonna e il suo capitello altro non  erano  che la memoria solida e ben visibile dell'intervento di  elevazione di  questo spazio pubblico, cinto di scalini per raggiungerne  con facilità  il piano di calpestio. In seguito, poi, a coronamento del  capitello era  stata posta una sculturina raffigurante San Rocco,  probabilmente lì  messa nel 1568 come materiale e concreto segno di  riconoscenza per una  scampata pestilenza che in quegli anni flagellava  la città e il golfo,  in quanto proprio Rocco, insieme a Sebastiano, è  il santo che per  tradizione è invocato come protettore dalla peste.  Purtroppo, come si  diceva, questo significativo monumento, che per  consuetudine e  semplicità era chiamato la colonna di San Rocco, non  esiste più, ma se  ne conservano l'immagine fotografica, che nel  particolare restituisce  proprio lo stemma spezzino, e un dipinto di  Agostino Fossati che mostra  come fossero piazza e colonna nei decenni  immediatamente successivi la  metà del XIX secolo, prima che alterazioni  e distruzioni ne  cancellassero per sempre l'esistenza.
 
Tra i  reperti ancora oggi  compresi nel lapidario civico è però conservato un  capitello in marmo  di notevoli dimensioni che presenta l’echino  decorato da larghe foglie  d’acqua, raccordato tramite collarino  all’abaco, fortemente ribassato.  Nella parte anteriore, su una delle  foglie, è presente lo stemma della  città iscritto in uno spazio ovale e  compreso all’interno di uno scudo a  otto cuspidi. Per brevità di  scrittura mancano i colli a reggere la  torre, che è a due piani e  sovrastata dall’aquila, e al di sopra,  sull’abaco, è incisa  un’iscrizione che, per esteso, dice  COMUNITAS/SPEDIAE. Questo capitello  parrebbe databile alla meta del  Quattrocento, per tipologia e, anche,  per stringente analogia con i  capitelli del chiostro del convento di  san Francesco detto il Grande,  oggi all'interno dell'Arsenale Militare,  convento fondato nel 1458. Pur  dunque distante da quello della colonna  di San Rocco negli elementi  compositivi e nello stile, e pare a questo  vicino al contrario per  cronologia, se non modello da cui desumere  proprio lo stemma civico. In  realtà parte della critica sembra concorde  nel posticiparne la  datazione, riconoscendo in questo capitello  l’ex-voto posto nel 1578 di  fronte alla chiesa di Nostra Signora della  Scorza per volere della  cittadinanza, occasione nella quale venne  eretta una colonna da parte  della comunità in coppia con un’altra del  tutto analoga, questa però  voluta – e finanziata- singolarmente da  Gaspare Biassa. 
 
Un'ulteriore testimonianza dell'affermazione  e della trascrizione  corretta dei contenuti dello stemma civico è il  bassorilievo marmoreo  già posto sulla Porta del Carmine delle mura  cittadine e oggi posto sul  palazzo comunale, datato da un'iscrizione lì  incisa al 1562: rappresenta  le tre cime, la torre merlata, l’aquila  coronata e, in capo, lo stemma  di Genova. Le lettere poste al fianco  della torre divengono C.S., ovvero  Civitas Spediae oppure ancora  Comunitas Spediae, dicitura questa più  probabile per analogia con  quanto scritto nel capitello di cui si è  appena detto. L’insegna  civica, pur di non grandi dimensioni, è inserita  in un elegante  cartiglio dall’elaborate volute ed è la più esatta  rappresentazione  dello stemma così come lo conosciamo oggi, definita  nell’uso e nella  disposizione dei suoi elementi costitutivi: i tre  colli, o meglio  ancora il monte a tre cime, la torre a due palchi, vale a  dire formata  da due corpi sovrapposti, di cui l’inferiore maggiore a  reggere il  superiore, e l’aquila in volo coronata e con il capo voltato.  In  particolare l’aquila è presentata nascente rivolta, vale a dire, in   termini araldici, figurata in uscita dalla torre a metà corpo, a   dimostrarne in certo modo il moto e la vitalità, con la testa girata a   sinistra, corrispondente alla destra per chi guarda. La perizia   esecutiva con cui è realizzato il rilievo restituisce, peraltro, i   particolari edilizi della breve fortificazione, composta di pietre ben   squadrate e ordinate, con blocchi più grandi ai lati e disposti secondo   il modulo dell’orditura incrociata, piattabanda a decoro dell’apertura,   beccatelli a reggere i due parapetti coronati entrambi da merli detti   alla ghibellina, vale a dire terminanti ognuno a coda di rondine. Il   fatto, inoltre, che tale stemma fosse in origine collocato sul baluardo   della Porta della Madonna del Carmine, detta più semplicemente del   Carmine o anche del Pallone, porta che costituiva l’accesso alla città   per chi veniva da occidente, verso mare, e che si apriva dove oggi via   Colombo incrocia via Sapri, permette di intuire che fosse il “biglietto   da visita”, per cosi dire, della Spezia, della sua comunità, della sua   gente. È probabile, anzi, che questo non fosse l’unico emblema civico   presente in tale posizione ma che al contrario ognuna delle porte che   immettevano all’interno delle mura potesse recare un’insegna simile. La   presenza inoltre dell’arma genovese posta ad occupare lo spazio   superiore dell’ovale nel quale è iscritto lo stemma spezzino fa   comprendere che l’uso del blasone, reso ben evidente dalla collocazione   originale, è un vero e proprio privilegio concesso da Genova, con il   valore giuridico di un’”edizione ufficiale” approvata dall’autorità.
 
Proprio  in apertura del liber primus ex tribus di Spediae Iura, vale a  dire  nel primo volume dei tre volumi che raccolgono le leggi e i  regolamenti  della comunità spezzina per gli anni compresi tra il 1343 e  il 1600  conservato nell’Archivio Storico Comunale presso la Biblioteca  Civica  “Ubaldo Mazzini”, è posta una pagina elegantemente decorata, e  qui, in  basso al centro dell’elaborata cornice che corre lungo i bordi, è   presente uno stemma a stampo che reca la dicitura Civitas Spediae.   Sempre nella stessa antologia, in chiusura, è vergata un’annotazione che   si riferisce all’integrità, alla completezza del volume, apposta il 21   agosto 1841: anche in questo caso un timbro e la firma del sindaco,  che  si fa garante per la comunità, accredita e ufficializza, per così  dire,  il conteggio delle pagine che compongono la raccolta,  ma, a  differenza  di quanto presentato in apertura, la scritta che accompagna  lo stemma è  città di Spezia.
 
A metà del XVI secolo pertanto  lo stemma  civico era completo e presentava tutti gli elementi  distintivi,  confermati poi dagli usi successivi e correttamente  disposti in base  proprio alle norme “linguistiche” ormai consolidate.  Ma quando nel 1893,  con Regio Decreto promulgato il 23 febbraio, lo  stemma della Spezia  viene approvato per la prima volta e in maniera  ufficiale, si stabilisce  che la torre sorga “da un mare di argento  fluttuoso di azzurro”, e non,  come è corretto e storicamente  documentato, dal monte di tre cime.  Inoltre la torre è chiusa e  “finestrata di nero”, e ancora è previsto un  cimiero sovrapposto e  fuoriuscente dalla corona che sovrasta l’aquila.  Per questi motivi, che  rivelavano lampanti inesattezze, lo stemma così  composto non è stato  mai adottato dal Comune e già nel 1902  l’Amministrazione chiedeva una  rettifica che restituisse la verità dei  singoli componenti,  correttamente disposti. Rimasta inascoltata per  altre e diverse  ragioni, la questione venne nuovamente sollecitata da  Ubaldo Mazzini,  tra i numi tutelari della nostra terra, che nel 1922  esortò  l’Amministrazione Comunale a chiedere di rettificare tali  macroscopiche  imprecisioni, fin tanto che un anno dopo, il 4 dicembre  del 1923, lo  stemma veniva ufficialmente approvato con diploma così come  ancora oggi  è stabilito nello Statuto Comunale.
 
I COMPONENTI DELLO STEMMA SPEZZINO E IL LORO SIGNIFICATO
Come  si diceva al principio, ogni stemma è composto dallo scudo, vale  a  dire l’elemento principale che contiene figure e colori, così  chiamato  proprio perché ripete la sagoma di uno scudo militare, e da  alcuni  ornamenti esteriori, che possono essere presenti o meno, a  rafforzare,  nel caso ci siano, il significato dei simboli raffigurati  all’interno  dello scudo.
 Abbiamo visto che lo stemma spezzino  presenta alcuni  elementi ben precisi che nel tempo si modificano nella  forma e nella  dimensione, ma che compaiono sempre, proprio perchè  individuati come  distintivi della storia e del senso di identità di  questa comunità. Lo  Statuto comunale infatti specifica bene tali  componenti, compresi nello  scudo: sono la “torre quadrata, aperta e  finestrata” “a due palchi  merlati alla ghibellina, […] fondata su un  monte di tre cime […]  sostenente un'aquila, coronata d'oro, al volo  spiegato, e colla testa  rivoltata”. Al di fuori dello scudo sono poi  figurate due fronde  legate, incrociate in basso, e al di sopra, nella  parte superiore, è  posta un’elaborata corona merlata.
 Il monte, la  torre e l’aquila  sono dunque i tre componenti fondamentali dello scudo, e  la corona e le  fronde sono gli ornamenti esteriori. Vediamone allora il  loro  significato, decifrando quale messaggio La Spezia, i suoi uomini e  le  sue donne, abbiano voluto comunicare attraverso questi segni.
Partendo dal basso ecco i tre colli, o meglio il monte desinente in tre   cime. Il monte è la base, il sostegno su cui posa la torre, e in   origine, forse per velocità di scrittura, era semplice, raffigurato con   un’unica vetta. Il monte rappresenta, per sintesi, il territorio   “governato”, il possedimento su cui viene esercitato il diritto di   autorità e di guida da parte di chi detiene lo scudo. È facile pensare   che la geografia collinare caratteristica del nostro luogo abbia   suggerito la descrizione montagnosa presente nello stemma, e che la   torre, derivata con ogni probabilità dall’insegna di Carpena dove era   già in precedenza presente, come si è visto, sia un indizio ancora più   evidente delle opere fortificate del territorio, effettivamente presenti   a fini difensivi. Una roccaforte esisteva già almeno nella prima metà   del XIII secolo dove è oggi il castello che chiamiamo di San Giorgio e   almeno a partire dalla metà del Trecento la città risulta dotata di  mura  a protezione, come dimostrano gli accordi intrapresi l’8 giugno  del  1361 tra gli uomini della Spezia e quelli di Carpena in merito agli   oneri per la costruzione proprio della solida cortina muraria.
 
Ma la torre figurata sullo stemma spezzino è una torre speciale, come   recita lo statuto: è infatti “quadrata, aperta e finestrata del campo,   al naturale, a due palchi merlati alla ghibellina, rispettivamente di   nove e di sette pezzi, con l'inferiore munito ad ogni angolo di   garitta”. Cosa significa tutto questo? Innanzitutto che la torre è   formata da corpi sovrapposti, come si è già notato nello stemma del   1562, a partire dalla struttura di base, aperta da un’unica porta, che   termina in una specie di terrazzamento retto da beccatelli e coronato da   sette merli di fattura ghibellina. Ai lati sono due garitte, una per   angolo, e oltre un corpo murario più tozzo, doppiamente finestrato, che   si conclude con un “palco”, in araldica sinonimo di piano, nuovamente   merlato, questa volta di nove elementi. Da qui emerge l’aquila.
   L’aquila è simbolo di potere e sovranità, di autorità e supremazia, noto   e utilizzato con tale significato fin dall’antichità classica.   L’araldica si appropria di questo simbolo e ne regolamenta l’uso:   l’aquila con le ali abbassate, come ad esempio nello stemma della   famiglia d’Este, è indizio di prudenza, mentre in volo sta a significare   slancio sublime. Nello stemma della Spezia, in particolare, l’aquila è   rappresentata frontale, con la testa rivolta a destra, con le ali  aperte  e le penne spiegate, secondo la tipologia rappresentativa che  viene  detta al volo spiegato.
 
Oltre lo scudo, si diceva,  sono poi gli  ornamenti esteriori. La corona, così come raffigurata,  dorata e con  cinque torri, sta a significare che la Spezia è insignita  del titolo di  città. Esistono infatti, per legge, tre tipi di corona  che possono  essere utilizzati negli stemmi concessidallo Stato,  indicando, in base  alla forma e alle caratteristiche con cui sono  raffigurate, di quale  ente si tratti: Provincia, Comune o Città. Il  tipo presente nello stemma  spezzino può essere utilizzato solo dai  Comuni che abbiano acquisito il  titolo di città e il modo di  rappresentare la corona, detta muraria o  anche turrita, è memoria della  grande onorificenza che spettava a chi  per primo scalasse le mura di  una fortificazione posta sotto assedio. In  Italia solo le città che  vedano legalmente riconosciuto con apposito  decreto il proprio status  possono utilizzare ufficialmente tale titolo,  acquisito nel tempo per  meriti e importanza e concesso dal Presidente  della Repubblica “ai  comuni insigni per ricordi, monumenti storici e per  l’attuale  importanza”. In Liguria le città ufficialmente riconosciute  sono  ventitre e in provincia della Spezia, oltre al capoluogo, solo  Lerici e  Sarzana si possono fregiare di tale titolo.
 Le fronde,  infine, che  devono essere legate in basso con un nastro tricolorato con i  colori  nazionali, rappresentano un ramo di alloro, a destra, e uno di  quercia,  a sinistra. L’alloro è considerato da sempre pianta  nobilissima,  attributo di sovrani, poeti, trionfatori dei giochi  olimpici, ai quali  veniva posta sul capo proprio una corona intrecciata  di ramoscelli di  alloro. La quercia è simbolo di potenza e vigore, non  solo segno di  potenza fisica, ma anche di solido temperamento morale:  insieme  all’alloro raffigura pertanto le virtù della comunità cui lo  stemma è  riferito, dimostrando così valore, forza intesa come tenacia,  virtù.
Ultimo aggiornamento: 23-06-2025, 12:07

